ITA - “Bisogna tornare a camminare”, parole di David Thoreau contenute nel suo saggio “Camminare” scritto a metà Ottocento in cui raccoglie riflessioni e piccoli aneddoti che mirano a raccontare l’importanza dell’atto nel suo svolgersi abitualmente, e della scoperta che proprio quei suoi brevi e lunghi viaggi nella natura incontaminata gli riservavano. Passeggiate al di là dello steccato del proprio giardino, spinto dall’istinto primordiale di protrarsi verso l’ignoto con la consapevolezza che quel rituale lo aiuti a ritrovare se stesso.
Lontano da ogni annebbiante distrazione della città moderna, ogni percorso da lui intrapreso diviene un vero e proprio processo di purificazione dello spirito che trova il suo epilogo al calar della sera facendo ritorno al focolaio di casa. Oserei parlare di una catarsi che trova sfogo nella contemplazione del luogo naturale marginale in ogni sua peculiarità, capace di offrirgli la possibilità di ricongiungersi al suo inconscio oramai saturo e sterile per opera del superfluo.
Da tempo oramai anche per me l’arte del camminare è divenuta una sorta di rituale terapeutico. A differenza di Thoreau, oggi incamminarsi nella sua natura sconfinata è divenuto sempre più arduo data l’aspra antropizzazione, e perciò stento a beneficiare della bellezza naturale che lui scandisce con le sue parole nel suo saggio. Quel che però ho imparato, col tempo, è che la bellezza ed il ritrovo con se stessi a cui egli fa riferimento li si possono cercare nell’ordinario paesaggio fuori dalla portata del nostro percorso abituale, nel margine appunto.
Quello di Urbino è stato il margine che ho deciso di approfondire e che si è mostrato ai miei occhi, pian piano, facendomi meravigliare della sua identitaria fisionomia. E così, seguendo la suggestione di trovarmi in una città come teatro, mi è parso di percorrere lo spazio una scenografia di transizione che si pone con grande riguardo ed umiltà ai piedi, ed alle spalle, di una città con una storia sconfinata. Un’ identità celata nel confino la quale sembra essere la risultante di un esibizione messa in atto da piccoli organi sociali, culturali, architettonici e naturali, che si mostra con riserbo soltanto a chi si sofferma nel mentre, con somma pazienza, aspettando che lo spettacolo quotidiano abbia finalmente inizio.
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